Un giorno tutto mio nascosto, ma non questo

Mi è venuto in mente ieri perché da è poco passato il giorno con cui si conclude di nuovo un comparto di tempo misurato arbitrariamente e chiamato un anno. I calendari sono mutati nei secoli e così ci riflettevo su…

É bello festeggiare, feateggiarsi, un giorno per sé più di altri. Ma se il giorno identificato, legale, marchiato pure nel codice identificato personale, per carità mi sta bene, lo festeggio volentierissimo, guai chi me lo tocca! E’ il giorno in cui la nostra anima é venuta fuori nel suo corpo di ciccia formato da la donna che si é fatta porta per noi su questo piano esistenziale, la mamma, quindi é tutto molto bello e affettivo.

Però io di giorno ne voglio ricercare anche un altro. Quello forse più vero ancora, anche se meno eclatante e certo. Me ne vado in cerca di un papabile giorno di concepimento. Quando ha preso la sua strada quell’ovulo che poi andando incontro al suo destino, anzi al mio, sono diventata io grazie all’altra metà di geni.

Il mio giorno di ingresso in questa vita, ancora in maniera incerta, vaga, insicura, in forse, ma sì, iniziavo ad esserci.

Ho deciso che sarà il giorno di luna nuova del mese deputato, quello si può contare a ritroso. Sarà il mio giorno. Ma segreto. Nessuna autorità lo conosce e se ne serve per contarmi o mandarmi conti da pagare. É solo la mia festa. Così ne avrò due. Una saputa e una segreta. Luce e ombra. Così é la vita.

Una che ricerca, trova e tiene memoria

Finalmente per qualcosa di insensato all’improvviso era chiaro.

Era chiaro perché in me ci sta una me rigidina, che prende appunti, che mette tutto a posto a modino. Che prova soddisfazione nell’archiviare con ordine e metodo per poter ritrovare tutto.

Era chiaro perché in me ci sta una me saggia, attenta alle profondità e all’intangibile, al valore oltre la materia. Una me paziente che sa prendere e dare tempo, che vive in cerca di.. alla ricerca… ma senza ansia, una me compiuta.

Era chiaro perché in me ci sta una me creativa, che inventa, che cerca sempre qualche cosa d’altro e oltre, con ansia del dopo, non appagata, sempre curiosa.

Ero una bibliotecario, un’archivista, qualcuno che cataloga, cerca, trova, mette a posto e per bene, mantiene memoria.

Ero una che archivia ma dentro, che porta insieme il desiderio del nuovo pezzo di valore e della memoria di tutto il precedente e mette a posto ogni cosa. Pensarmi così, come una bibliotecaria, mi rimette a posto tante me che tenevo insieme a fatica. É come se si sovrapoonessero bene, tutt’une, appartenendosi, integrandosi.

Questa chiave di lettura di me stessa mi invade e mi appaga e che ironia, la biblioteca é sempre stato il mio luogo felice. Ora non so. Non lo so, il covid ha devastato tutto. Ora non so più se é ancora il mio posto felice, non ci sono più andata. Da 3 anni.

Resto un topo di biblioteca, dentro. Posso isolarmi ore da sola a leggere a fare ricerche.

Da qualche settimana ho una libreria vicino al mio letto. Sono felice.

(Diario giugno 2023)

Il mio paese delle meraviglie

Il mio paese delle meraviglie, o forse dovrei dire delle cose strane.
No, matte.
Anzi, fantasiose, diciamo fantasiose.


Quando ero piccola avevo in testa un mio paese delle cose fantasiose. Era fatto di cose che mi piaceva mangiare. Si trovava nella mia pancia.

C’era il castello tortello in brodo contornato dal fossato brodo, che era tipo il mio piatto preferito. C’era la casetta dei wurstel, che mi piacevano tanto finché non ho vomitato una notte per averne mangiati troppi. (il mio stomaco li ha riabilitati solo in seconda liceo). C’era il boschetto delle caramelle, la casetta mela, quella fragola, insomma un villaggio frutta, e così via…


Era l’unica cosa che mi faceva venire voglia di mangiare il mio paese delle cose commestibili fantasiose. Il castello tortello era bellissimo. E buono.
Ero una bambina che mangiava poco, ero sottopeso e al tempo non era una virtù. Sono stata tanto magra fuori moda.


Questa cosa credo di non averla mai raccontata a nessuna. Nemmeno a S. che era la mia migliore amica e lo è ancora. O forse a lei sì, vatti a ricordare.


Ogni tanto ci penso ancora al signor-castello-tortello-con-brodo-fossato e al villaggio frutta e a tutte le altre abitazioni commestibili nella mia pancia.

Crisi di mezza età e fantasie pervasive annesse

Avere la crisi del decennio dei 40 vuol dire anche darsi a spietate fantasie e fantasmagorici film mentali, riuscendo raramente e con potente sederata a confrontarsi seriamente con la realtà valutando tutta l’oggettiva inconsistenza delle proprie fantasie di cambi di, nell’ordine, taglio di capelli, stile di abbigliamento, partner, figli, famiglia, lavoro e abitazione. Insomma più che una crisi di mezza età ste fantasie sconfinano in un programma di protezione testimoni.

Per fortuna è quasi tutto chiuso a chiave nella soffitta mentale. Capelli a parte, quelli li ho deturpati con ripetuti tagli. Del resto come una pentola a pressione, ci voleva uno sfiato..

Emicrania

Quell’inquilino scomodo che non vuoi ascoltare e allora sale al pianerottolo del tempio femminile e come un martello batte e batte, bussa forte

Tum tum

E insisti non ascolti

Resisti

Che maleducato ma che vuole?

Allora quello si indispone

E si fa morso, arriva su quando ti trova stringe forte dove può senza apparente spiegazione

Allora vuoi solo imbussolarti in quell’opercolo tranquillo che lo smonta, ti allontani per un po’

Cambi aria ma é una tregua momentanea

Questo trip al cervello dal cuore che ti ostini a non ascoltare e finisci messo male caro mio

Anzi

Cara io!

Poltronismo decadente

Mi prende in estate sempre.

Una certa malinconia.

Mangio troppo o troppo poco.

Mi sento spenta, lo so è il caldo, lo so mi toglie voglia di fare, lo so.

Lo so ma ugualmente cado vittima di questo stato che ormai da anni chiamo poltronismo decadente.

Lo vedo anche attorno a me anche se non so se ne rendono conto.

Volti spenti, sfranti dalla calura. Vorresti fare questo o quello ma per tutto ormai è caldo, rimandiamo a settembre se non a ottobre e ti impoltronisci.

Ma non è un poltrire sereno e rilassato, quanto piuttosto malinconico e rilasciato.

Ti lasci cadere sulla poltrona, o addirittura a terra, che il pavimento è un po’ più fresco.

Si portano a termine i doveri se si riesce ma per il piacere l’energia è veramente poca.

Ora,

mi sorge atroce il dubbio…

e se invece…

prendo il bracciale che la misuro, magari, hai visto mai, è solo pressione bassa!

Che tris..

La scorsa settimana sono andata in biblioteca, che amo molto leggere i libri dalla biblioteca e non solo per ragioni economiche, a prendere un tris di libri per arrivare pensavo a fine mese o giù di lì con letture rilassanti a piedi scalzi e invece…

Ho preso due libri di racconti, almeno quelli che credevo esser tali di come vorrei che fossero i racconti cioè di racconti che piacerebbero a me ma non ci ho indovinato.

Ho preso pure un altro libro di Catherine Dunne, ma mi ero dimenticata di averlo già letto, Se stasera siamo qui, storia piacevolmente scorrevole, ma non volevo rileggerlo. Mi era venuto un leggero déjàvu quando l’ho tirato fuori dallo scaffale ma tutti gli altri libri della Dunne erano in prestito e allora non mi sono data ascolto. Errore.

Riguardo i libri di racconti avevo preso “Storie ribelli” di Sepulveda. Mi aspettavo storie di personaggi diversi che si ritrovassero coinvolti in qualcosa di ribelle, sovversivo, fuori dall’ordinario. Ho sbagliato tutto, perché si tratta dei racconti delle molte vicende in cui è rimasto coinvolto l’autore e tante altre persone riguardanti la situazione politica del Cile.

Un susseguirsi di aneddoti storico-politici che non mi aspettavo e che non amo. Ahimé.

L’altro che ho preso è La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin, lo so dovrei approfondire oltre il titolo e non immaginarmi il libro che vorrei per poi restarci male. Anche in questo caso si tratta di una serie di aneddoti di vita della protagonista. Una scrittura gradevole, ma io volevo leggere racconti diversi.

Vorrei una raccolta di racconti surreali, anche grotteschi, in ogni caso ognuno a sé, anche se la cosa super mitica è pensare per tutto il libro che ogni capitolo è a sé per trovare un capitolo finale che ti fa capire che erano tutti collegati. Certo se lo so prima però non vale.

C’ho i gusti difficili sto periodo.

Domani torno in biblioteca.

Ogni impedimento…

Ogni impedimento è giovamento.

Un bel po’ di anni fa una mia collega di università mi ha insegnato questo proverbio. Devo dire che nel tempo ne ho potuto empiricamente rilevare la grande validità e l’enorme saggezza.

Lo sto pensando spesso ultimamente perché ci sono delle ipotetiche situazioni di vita che si potrebbero o meno concretizzare e non dipende del tutto da me per alcune poter fare qualcosa.

Anni fa mi sarei disperata prima e dopo l’eventuale verificarsi di qualcosa di desiderato e magari non concretizzatosi.

Poi però gli anni mi hanno regalato amore e conoscenza. Due variabili fondamentali.

Mi torna anche in mente un aneddotto che riguarda un evento specifico della vita ma che credo davvero di poter allargare anche ad altri ambiti importanti dell’esistenza ed è il seguente:

Mi trovavo con figlia piccola e cara amica senza prole ad un incontro con altre mamme di pargoletti piccini. Questa mia amica, dopo averci osservate e reduce da percorso esistenziale che le aveva fatto capire di non poter avere  bambini, mi confidò: “A volte avere un figlio è una benedizione, ma a volte è una benedizione anche non averlo”.

Ecco.

La rivelazione è tutta in quelle parole.

Può essere una benedizione l’arrivo di una persona nella vita, un’assuzione lavorativa, una casa, un’eredità importante, anche per assurdo l’allontanamento da qualcuno…

Ogni cosa può essere una benedizione e pur tuttavia anche il suo contrario.

La vita si compone di certi eventi, su quasi tutti abbiamo potere, su alcuni non del tutto. Sul cosa fare di quel che ci capita però abbiamo potere. Sul significato da conferire a quanto ci accade abbiamo potere assoluto.

Allora io decido che comunque vada sarà un successo.

Raccontami

Quando uno chiede un racconto si aspetta una storia che inizia ha un’evoluzione di trama e una conclusione, il tutto in un tempo relativamente rapido.

Ecco, dico io, ma cosa si può volere di più?

Come si fa a non amare i racconti?

Capisco che mi trovo in quella primitiva fase dell’innamoramento che non ti fa notare i difetti dell’oggetto dei tuoi desideri e te lo fa anzi vedere come la cosa più fantastica del mondo.

Ecco io mi sono innamorata dei racconti.

Per una mente iperattiva sono quanto di meglio si possa desiderare secondo me, ma ripeto sono in fase d’innamoramento e come tale mi ritengo del tutto poco oggettiva.

Di recente di ogni autore che mi piace cerco se esista una raccolta di racconti.

Ultimamente ho letto Cari mostri di Stefano Benni, di cui avevo già letto molto altro con piacere.

Mi è veramente piaciuto. Non tutto però. Questo è anche il bello dei racconti. Puoi amarne alla follia alcuni e domandarti come gli sia venuto in mente di scriverne di altri.

Cari mostri è una raccolta particolare di tutte storie paurosette.

Trovo proprio che il termine “paurosette” sia del tutto calzante, perché sono al tempo stesso dell’orrore ma anche umoristiche.

La prima buona metà dei racconti corre via che è una meraviglia.

A un certo punto mi sono incagliata nella storia che è risultata essere la più lunga per numero di pagine e che ha per protagonisti animali. Ci ho proprio faticato.
Mi sono domandata se fosse per via degli animali come protagonisti, eppure amo tanto le fiabe in cui spesso sono gli animali i protagonisti, quindi non so. Ma non andava giù, così come Pennac insegna mi sono presa il diritto di saltare righe o forse anche qualche mezza pagina.

I racconti successivi, diciamo gli ultimi dieci più o meno, sono alcuni belli come i primi, altri li ho apprezzati meno.

Diciamo che ha l’effetto ultima-stagione-di-serie-tv-molto-figa, ti fa disinnamorare al momento giusto e lentamente, affinché tu non ne pianga troppo la fine quando arriva.

 

 

Donna alla finestra

Come facciamo a snaturare i titoli dei libri così tanto?

Scolpito nella pietra diventa donna alla finestra.

Eh si capisco che ogni libro possa avere potenzialmente ben più di un titolo, ma se un autore o nel caso specifico un’autrice scelgono un certo titolo magari é per comunicare un tipo di senso anziché un altro.

Questa breve polemica introduttiva per dire che secondo me il titolo originale ci stava meglio o magari qualcosa di simile del tipo Sarà per sempre cosi oppure Tale padre tale figlio.

La lettura, come per altri libri di Catherine Dunne che avevo letto in passato, é stata piacevole e scorrevolissima.

Però Catherine te lo dico, alla fine ci sono rimasta male, but very, very, very na cifr male.

Dopo 300 pagine di storia che ti porta avanti e avanti con la sempre maggiore curiosità di capire non è che può finire così.

Vabbè, domani torno in biblioteca e prendo L’amore o quasi e La grande amica o Come cade la luce.

Te li leggo tutti perché non mi puoi lasciare così co sto finale. Mi piace troppo come traducono quello che scrivi (che per un libro straniero va sempre tenuto in conto secondo me) non ci possiamo lasciare così dopo sto finale qua!

A presto Catherine Dunne.